Famiglia & Covid-19

La scuola al tempo del Covid-19

La scuola al tempo del Covid-19: l’educazione non si ferma, ma servono luoghi in cui crescere i bambini

 

L’indagine, condotta dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore[1], nel mese di aprile 2020, ha consentito di raccogliere l’esperienza delle strutture educative per la prima infanzia durante la fase di lockdown. All’indagine hanno risposto in prevalenza scuole paritarie (78,3%), che erogano un'offerta diversificata: soprattutto asili nido (58,6%) e scuole dell’infanzia (75,8%), ma non mancano poli comprensivi in verticale che hanno al loro interno la scuola primaria (37,4%) e la secondaria di primo grado (26,3%), per totale complessivo di oltre 200 servizi rivolti a bambini e ragazzi da 0 a 14 anni.

Tutte le strutture al momento dell’indagine hanno sospeso la loro attività in presenza e sono chiuse da almeno un mese, tuttavia l’educazione non si ferma: educatori e insegnanti si sono attrezzati per attivare qualche forma di didattica a distanza, raggiungendo i genitori attraverso mail (55,3%), whatsapp/chat (47,9%) e portate/sito internet della scuola (41,5%).

In cosa consiste questa forma di educazione – che non possiamo chiamare propriamente DAD “didattica a distanza” nella fascia 0-6 anni? Si tratta per lo più di proposte inviate ai genitori, a cadenza pressoché giornaliera o più volte la settimana, di attività, giochi (64,5%), video con lettura di favole o canzoni (66,7%) da svolgere a casa in continuità con la programmazione didattica, ma non mancano proposte di interazione live a piccoli gruppi con i genitori e con i bambini più grandi per alimentare le relazioni.

I media rappresentano in questo momento una preziosa risorsa, di cui però sono evidenti anche i limiti nella pratica educativa, i rispondenti infatti mettono in luce che se da una parte le nuove tecnologie siano un formidabile mezzo con cui è possibile mantenere il contatto con i bambini e le famiglie (49,4%), dall’altra vi sono opinioni differenziate su quanto  internet e i nuovi media da soli possano contribuire a sviluppare nei bambini competenze e conoscenze (ne sono poco convinti il 30,1% dei rispondenti e abbastanza il 47%) e in effetti un piccolo gruppo ma significativo (20%) ritiene che la pratica educativa risulti penalizzata dall'uso di internet e dei nuovi media. In sostanza il messaggio che i professionisti dell’educazione vogliono mandarci è che l’educazione a distanza in questo momento è una grande risorsa – in verità forse è l’unica – e occorre valorizzarla al meglio, ma non può esaurire da sola l’azione educativa che è fatta di socializzazione e di relazione con i pari e con gli adulti. I bambini infatti stanno perdendo occasioni formative importanti (ne è molto convinto il 50% delle strutture intervistate).

La situazione attuale è tuttavia vissuta con grande apprensione, sia rispetto al proprio lavoro (quasi la metà dei rispondenti è fortemente preoccupato per il proprio posto di lavoro, 39,3%) sia rispetto alla stabilità della struttura stessa (35,9%). Molte di queste strutture infatti si trovano a dover fronteggiare lo scenario peggiore: l’impossibilità di riaprire.

Nonostante questi timori, il 59% degli intervistati pensa che si stia facendo il massimo per supportare concretamente le famiglie.  

I servizi hanno davvero dimostrato di saper fronteggiare responsabilmente la fase di emergenza, ma occorre sottolineare che se da una parte la pratica educativa a distanza risponde solo parzialmente agli obiettivi educativi, dall’altra non risponde affatto alle esigenze dei genitori su cui ricade totalmente l’onere della cura da conciliare spesso con il lavoro e che si ritrovano oggi più che mai soli, venendo meno il supporto del network parentale (in particolare i nonni).

Ne emerge una rappresentazione dei genitori soli più che mai nel compito educativo, potendo contare in questo momento soltanto sul supporto – prezioso, ma “distante” – delle strutture educative.

Infine alle strutture intervistate è stato chiesto un giudizio circa l’impatto che hanno avuto le misure adottate dal governo sulle famiglie: se da una parte si ritiene che le famiglie stesse siano state molto responsabilizzate (le decisioni assunte dal governo hanno sostenuto abbastanza o molto le responsabilità dei membri della famiglia), dall’altra vi è però anche la percezione che esse siano state sovraccaricate di responsabilità (isolamento dalle reti parentali e amicali, lavoro a distanza, educazione dei figli…) senza tenere contro dei bisogni dei genitori stessi (per il 67,5% le decisioni assunte dal governo non hanno tenuto conto delle differenti esigenze delle famiglie). Si percepisce quindi una sorta di delega alle famiglie su più fronti: sociale, educativo, professionale.

Se la fase di lockdown ha di fatto messo in stand-by il mondo della scuola, la crescita e l’educazione dei bambini non si ferma, perdendo però importanti e fondamentali momenti di socializzazione. Il processo di socializzazione, infatti, non avviene nel vuoto ma dentro contesti specifici e insostituibili, in famiglia e a scuola, contesti densi di relazioni significative. L’educazione accade solo se c'è un luogo, per questo occorre superare le visioni parziali e approdare ad uno sguardo relazionale e sistemico che consenta a bambini e famiglie di poter disporre di luoghi specifici per diventare grandi insieme.

 

[1] Condotta da: Maria Letizia Bosoni, Donatella Bramanti, Flavio Merlo e Manuela Tomisich

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