Famiglia & Covid-19

La famiglia al tempo del Covid-19

La famiglia sospesa. Come cambia la famiglia in Italia al tempo del distanziamento fisico?

La prima fase dell'indagine: 30 marzo - 7 aprile

La diffusione del Coronavirus e le restrizioni alla vita sociale stanno cambiando la vita di tutti noi. Come le famiglie stanno vivendo questo periodo, quali stress devono affrontare, quali cambiamenti nella vita quotidiana stanno sperimentando, e questi cambiamenti che effetti sortiscono nella vita dei suoi componenti?

A questi e ad altri interrogativi prova a rispondere la ricerca La famiglia al tempo del COVID19, condotta da un gruppo di ricercatori psico-sociali del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, insieme alla società Human Highway che ha curato la messa in rete e la raccolta dei dati.

È una ricerca che si svolge in due fasi: la prima appena conclusa, la seconda che verrà effettuata nel periodo successivo alla fine del periodo del lockdown, quando le attività sociali ed economiche cominceranno a riprendere.

La ricerca coinvolge 3000 soggetti di età compresa tra 18 e 85 anni, rappresentativi di quella ampia fascia di popolazione italiana che ha accesso ad internet almeno una volta alla settimana, circa 40 milioni di persone.

 

Le persone hanno risposto ad un questionario on line tra il 30 marzo e il 7 aprile, periodo in cui la pandemia in Italia era al suo massimo in termini di diffusione del contagio.

I dati rivelano il profilo di una famiglia sospesa, in bilico tra difficoltà evidenti che rischiano di sopraffarla e la capacità di attivare risorse al proprio interno in grado di rendere i cambiamenti che sta attraversando occasione di crescita.

Non è certo sorprendente che le famiglie dicano di essere in difficoltà: le preoccupazioni economiche e finanziarie, la difficoltà di gestire la quotidianità, di conciliare vita familiare con la vita lavorativa sono evidenti. In particolare, l’impatto più pesante lo subiscono le famiglie con figli piccoli e adolescenti che evidenziano i livelli più bassi di benessere psicologico e livelli alti di preoccupazione per il futuro. Sono famiglie nelle quali si sono accumulati più eventi stressanti in assenza di risorse esterne (vuoi familiari vuoi sociali): un’assenza parziale o totale che pesa in modo significativo.

Il quadro generale di criticità e di forte stress che le famiglie vivono non deve però far pensare che questa fase di sospensione produca solo negatività o sia vissuto come un blocco che impedisce trasformazioni ed evoluzioni. Il tempo della sospensione è anche un tempo di cambiamenti, un tempo in cui certamente convivono luci ed ombre, ma che evidenzia anche la capacità rigenerativa della famiglia e la sua vitalità.

Le famiglie si sentono sì in gabbia, e aumenta l’insofferenza reciproca soprattutto per chi ha figli in casa, ma la conflittualità o il senso di distanziamento emotivo non sono così accentuati come si potrebbe supporre.

Anzi, i dati ci dicono che nella crisi sembra che le famiglie siano state in grado di fare quadrato insieme e di ritrovare valori al loro interno.

La dimensione in particolare più toccata attiene alla sfera emotiva e della coesione. Un’ampia maggioranza delle persone segnala un incremento della coesione tra i componenti della famiglia, coesione che è particolarmente accentuata per le famiglie che hanno figli, mentre invece è più contenuta per chi vive da solo che avverte probabilmente in maniera più evidente la solitudine. È anche un periodo in cui si segnala la scoperta o la riscoperta di nuovi valori, anche qui maggiore per chi ha figli rispetto a chi non li ha o vive da solo.

In definitiva, le famiglie con i figli, sia che vivano in casa sia, che vivano altrove rispetto a chi vive in coppia e non ha figli o vive da solo, da un lato, evidenziano il maggior livello di stress, ma sono anche quelle che sperimentano in misura maggiore cambiamenti nella qualità dei rapporti familiari di tipo positivo.

L’importanza di saper cambiare in positivo si riflette nell’atteggiamento nei confronti di sé e del futuro.

Quanto più le famiglie riescono a vivere questo periodo come un periodo di opportunità tanto più le persone hanno maggiore stima in se stesse, sono più ottimiste e fiduciose nei confronti del futuro. Questa connessione vale per ogni forma di struttura famigliare e rimane significativa anche quando si considerano gli effetti legati agli stress percepiti – dalle preoccupazioni lavorative ed economiche, a quelle per la salute propria e dei propri familiari – e ai timori per il futuro. In altri termini, i legami familiari sembrano essere una benzina importante dell’autostima e della fiducia indipendentemente dalla forza delle avversità che si stanno attraversando.

Un dato interessante riguarda la dimensione della coppia.

Una delle preoccupazioni legata alla convivenza familiare ai tempi del Covid riguarda la tenuta dei legami di coppia. Molti preconizzano un aumento delle separazioni e dei divorzi. Non ci sono dati al riguardo, ma i risultati di questa prima fase della ricerca ci dicono che la dimensione della coppia può essere una risorsa importante.

Coloro che dichiarano di vivere con un partner hanno maggiore preoccupazione per la situazione COVID e per la situazione finanziaria, ma esprimono minore stress totale, sono più soddisfatti della loro vita e di se stessi, esprimono maggiori livelli di benessere psicologico e guardano al futuro con maggior speranza ed entusiasmo. Anche la loro percezione del mondo sociale è più positiva: riescono maggiormente ad attribuire un senso di coerenza agli eventi (percepiti come maggiormente controllabili, gestibili e dotati di senso)

Essere in coppia quindi sembra rappresentare un fattore protettivo per i soggetti intervistati.

Particolarmente importante sembra essere la capacità dei partner di far fronte insieme agli eventi stressanti (quello che viene definito coping diadico): tale capacità, infatti, è correlata positivamente con tutti gli indicatori di benessere individuale e famigliare e protegge dalle diverse forme di stress.

Tale capacità di reazione delle famiglie, scaturita come una scossa adrenalinica nel momento dell’emergenza, può essere sostenibile nella lunga durata, se viene alimentata e supportata da un’azione incisiva della comunità e delle istituzioni: una serie di domande ha provato ad esplorare se e in che misura le famiglie avvertono da parte delle istituzioni e dello Stato lo sforzo di riconoscere e valorizzare la loro capacità di azione, supportandola in modo diretto ed efficace.

Le risposte indicano che il Governo ha sicuramente molto valorizzato la capacità della famiglia nel garantire continuità ad una serie cruciale di attività (dal lavoro alla scuola), che non avrebbero potuto essere altrimenti svolte fuori di essa, senza pericolo per la comunità. Tuttavia, è percepibile una velata denuncia del fatto che responsabilizzazione e fiducia nei confronti della famiglia da parte delle istituzioni si traducono nei fatti in una delega in toto a loro della soluzione dei problemi derivanti dalla estrema complessità del puzzle che si è venuto a creare, che ha rimesso in discussione gli equilibri precedentemente trovati tra le diverse esigenze, e ha anche accentuato la diversità tra le famiglie: alcune sovraccaricate di compiti, altre invece totalmente svuotate delle mansioni della quotidianità (perché tutti gli adulti hanno sospeso le attività lavorative), altre emarginate, perché non dotate degli strumenti tecnologici oggi indispensabili per svolgere le attività a distanza.

Di fronte a questo scenario, la richiesta di responsabilità da parte delle istituzioni diventa quanto mai necessaria, esattamente quanto appare imprescindibile che nella fase 2 chi governa abbia anche la competenza necessaria per assumere la lente dell’impatto familiare nel progettare la “ricostruzione”.

 

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