Martedì 18 ottobre 2022 l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha accolto Gemma Calabresi, che ha ripercorso gli eventi che hanno segnato la sua vita e il suo percorso di fede, come racconta nel libro La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia (Mondadori, 2022). Vai all’articolo su Secondo Tempo e al video integrale dell’incontro.
Camillo Regalia, Direttore del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia, ha condiviso la propria gioia nell’ospitare una “donna meravigliosa” che, nel senso filosofico del termine, suscita meraviglia e quindi induce a riflettere. Nell’esprimere la propria gratitudine Simona Beretta, Direttrice del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa, ha voluto sottolineare alcune parole e immagini ricorrenti nel libro, come la parola “fratellanza”, su cui soprattutto oggi è necessario soffermarsi, e che può essere raggiunta solo attraverso «un cammino, una strada, un ponte verso una pace sociale possibile».
Le parole di Gemma Calabresi ripercorrono «i doni, i segni che ho ricevuto» poiché «tutti abbiamo dei segni, bisogna saperli vedere, leggere e accettare». Il primo segno «l’ho ricevuto la mattina del 17 maggio 1972, quando è stato ucciso mio marito, Luigi Calabresi». Fu don Sandro, il suo parroco, che prendendole le mani comunicò a Gemma Calabresi, all’epoca madre di due figli e in attesa del terzo, la tragica notizia «con il solo movimento delle labbra». Dopo essere crollata sul divano dal dolore, la signora Calabresi iniziò ad avvertire «non so dopo quanto, una sensazione fisica di pace e di forza, che sento dentro ancora, dopo cinquant’anni». Un evento a cui non seppe dare spiegazione, e che la spinse a chiedere al parroco di «recitare insieme una preghiera per la famiglia dell’assassino, perché avrà un dolore molto più grande del mio. Non era farina del mio sacco, era qualcuno che mi apriva la strada e testimoniava per me. Quella mattina io ho ricevuto il dono della fede». Una fede che, prosegue la signora Calabresi, «non toglie il dolore ma lo riempie di significato, ti dà forza, non ti fa sentire solo e ti dà la speranza». E che l’ha accompagnata anche nei momenti di sofferenza, rabbia e sconforto, tanto da farle affermare che «anche dopo un dolore lacerante si può amare la vita, dopo la calunnia e il tradimento si può ancora credere negli altri».
Durante gli anni di insegnamento di religione nella scuola elementare, un altro segno scaturì dalla domanda di un suo alunno: «Ma perché quando qualcuno muore, se ne parla sempre bene?». Gemma Calabresi rispose che era giusto così, perché «saremo giudicati anche per il bene che abbiamo compiuto». Dopo la lezione, ripensando alla frase del bambino e alla sua risposta, realizzò che quindi anche gli assassini di suo marito non erano solo assassini, ma anche «tante altre cose»: «saranno anche buoni padri, buoni amici, avranno aiutato gli altri. Che diritto ho io di relegarli per tutta la vita all’atto più brutto che hanno commesso? Così ho ridato loro la dignità di persone, ho fatto il contrario di quello che hanno fatto i terroristi che disumanizzavano i loro avversari».
Dopo molti anni, nel lungo e difficile cammino verso il perdono, Gemma Calabresi scelse di riprendere in mano il necrologio scelto da sua madre e uscito sul Corriere della Sera la mattina del 17 maggio: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Dopo averlo scritto e firmato, era giunto il momento di fare proprio questo necrologio. Per la prima volta si accorse di poter leggere diversamente quelle parole: «perché Gesù, Figlio di Dio, non ha perdonato direttamente i suoi carnefici? Mi sono data questa spiegazione: Gesù era Figlio di Dio, ma in quel momento era uomo, e sarebbe stato impossibile perdonare nel momento del dolore, della calunnia, della solitudine, del tradimento. Gesù indica questa strada, di chiedere al Padre di farlo al posto nostro, lasciando a noi il tempo del cammino».
Un altro episodio rievocato da Gemma Calabresi riguarda l’incontro con alcuni detenuti che, nonostante avessero ucciso in passato, anche più volte, in carcere a Padova avevano abbracciato la fede. La signora Calabresi si chiedeva come fosse stato possibile, ma parlandoci scoprì che ognuno di loro «in un momento di disperazione aveva provato un’incredibile pace interiore, come quella che avevo sentito io quella mattina sul divano. Dio va da tutti, è per tutti, dobbiamo solo sentirlo e lasciarci invadere».
La parte finale dell’incontro si apre a domande e altri spunti di riflessione. Si può riuscire perdonare anche senza fede? Secondo Gemma Calabresi sì, «ne sono sicura, perché è sufficiente l’umanità». La capacità di perdonare si riverbera poi, dal punto di vista sociale, nella possibilità di mediare e conciliare tra posizioni opposte. Come papa Francesco afferma nella Fratelli tutti, siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, e ad agire non come intermediari, ma come mediatori nella costruzione della pace.
Ma possiamo imparare a perdonare? Gemma Calabresi conclude partendo dalla propria esperienza, donando al pubblico la sua preziosa testimonianza: «Si può imparare a guardare le persone in tutta la loro vita, attraverso la loro storia, la loro sofferenza. Allora si diventa meno giudicanti, ed è più facile perdonare. Le persone sono molto altro rispetto al male che hanno commesso».