Per chi ama le classificazioni, il pensiero di Eva Kittay si inserisce nel filone del femminismo americano che pone a tema l’etica della cura. Ma questa è una definizione riduttiva. La cura dell’amore è un’opera molto più complessa, che consente diversi livelli di lettura. Intrecciando il racconto in prima persona all’analisi delle teorie della giustizia proposte dal pensiero liberale, mette a fuoco un problema che appartiene all’esperienza umana prima che alla filosofia: la vulnerabilità e la dipendenza di ognuno, emblematicamente rappresentate dalle differenti forme della disabilità. Questo argomento è affrontato in maniera originale, assumendo la prospettiva di coloro che, a vario titolo, per ragioni affettive o professionali, si prendono cura di chi è dipendente - bambini, anziani, disabili, persone non autosufficienti. Voci e storie che testimoniano un impegno silenzioso, purtroppo spesso ignorato dalle teorie della giustizia che Eva Kittay passa in rassegna e discute puntualmente sottolineando come questa omissione nasconda un fatto evidente: la libertà, la realizzazione, l’indipendenza di ciascuno sono di fatto rese possibili da una rete di relazioni e di dipendenze che le sorreggono.
E ancora, una concezione della giustizia che contempli solo individui sani, autonomi, capaci di reciprocità e rapporti simmetrici non può che fallire il suo obiettivo con pesanti conseguenze sociali. All’origine ‘siamo tutti figli’, ovvero, almeno nella prima parte della nostra vita, bisognosi dell’assistenza di un altro, o più spesso di un’altra. Sono infatti in primo luogo le donne a prendersi cura dei figli, dei padri, dei fratelli e a svolgere, con scarsa o nessuna remunerazione, quello che Eva Kittay chiama significativamente ‘dependency work’: il lavoro di accudire chi è dipendente.
In questo libro ci sono molte storie di donne, ma c’è soprattutto la testimonianza in prima persona dell’autrice, il racconto del suo essere madre di una figlia, Sesha, affetta da gravissima disabilità, per tutta la vita dipendente dalla premura e dall’amore degli altri. Tale narrazione rafforza, con la sua assoluta concretezza, il rigore dell’argomentazione filosofica e proprio alla filosofia pone un interrogativo fondamentale rispetto alla sua capacità di confrontarsi con i dati dell’esperienza e di incidere sulla vita pubblica. L’affiancarsi di più registri dice anche come la realizzazione di una società giusta e capace di riconoscere i diritti e i bisogni di tutti i suoi membri richieda non solo riflessione teorica e impegno civile ma, non ultimo, un profondo coinvolgimento personale. Un cammino forse ancora lungo e accidentato, ma necessario e possibile: il libro di Eva Kittay offre a chi intraprende questo viaggio le coordinate necessarie.