Baby boom. Critica della maternità surrogata

Baby boom. Critica della maternità surrogata

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L’esperienza è fatta di eventi. Alcuni si ripetono senza farsi notare; altri sono così radicali da cam­biare in modo decisivo i significati dell’esperienza stessa. La maternità surrogata rientra in questa seconda categoria, dando luogo a uno strano connubio tra ‘tecnologia’ e ‘carnalità’ in cui l’au­mento della prima segna lo scindersi e il rarefarsi della seconda.
Per questo la pratica della surro­gacy rappresenta qualcosa di mai visto prima: con essa non solo si appalta alla tecnologia l’atto generativo, ma anche il materno, che così viene scomposto, assegnando a tre figure femminili ciò che – nella generazione – avviene nel corpo dell’unica madre. Quanto accade durante i nove mesi della gravidanza esce semplicemente di sce­na, sulla base di quella stessa logica che conside­ra irrilevanti per il ‘prodotto’, una volta finito, le circostanze e le procedure della sua produzione. Eppure, i piani di lettura del fenomeno di sostitu­zione di maternità sono davvero molto più estesi. Tanto che, inavvertitamente, sotto il nostro sguar­do si va realizzando un mutamento di civiltà che espone lo statuto dei figli e di ciascuno al ‘defla­grare’ della differenza tra le ‘persone’ e le ‘cose’.
A rischio, così, è ciò che nell’etica ha il linguaggio della dignità e nelle relazioni quello dell’amore: il senso dell’unicità.

 

Vita&Pensiero Milano 2021

un volume di

Alessio Musio

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