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Presentazione
L’Università Cattolica del Sacro Cuore, in occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo di inaugurazione della sede bresciana dell’Ateneo, avvenuta nel 1965 con l’apertura della Facoltà di Magistero, ha inteso dare nuovo impulso e vigore alle sue iniziative di formazione e ricerca in una prospettiva di accentuata corrispondenza alle necessità esplicitate dalla comunità di riferimento. A tal fine, l’Ateneo ha costituito nel marzo 2017, nella sede bresciana, l’Osservatorio per il Territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione (OpTer), quale organismo dinamico di analisi ed interpretazione dei processi che connotano i cambiamenti in atto nel contesto locale e globale.
L’Osservatorio si propone di offrire un concreto sostegno allo sviluppo dell’imprenditorialità locale mediante iniziative di formazione, ricerca e consulenza sui temi dell’innovazione e dell’internazionalizzazione. Le attività dell’Osservatorio sono radicate nella profonda convinzione che l’impresa, intesa come comunità di persone, è il soggetto essenziale dello sviluppo economico e sociale moderno, in quanto capace di correlare gli investimenti per l’innovazione, l’internazionalizzazione e la formazione con la responsabilità verso la comunità e verso il territorio nel quale si trova ad operare.
L’Osservatorio intende promuovere in modo sistematico e strategico la collaborazione dell’Ateneo con le molteplici imprese profit e no-profit del territorio bresciano, che rappresentano qualificati modelli di imprenditorialità dinamica e responsabile. Un territorio, peraltro, caratterizzato da una peculiare attitudine volta a cogliere le potenzialità offerte dalle trasformazioni economiche e produttive su scala globale, ma anche attivo nella promozione dei valori identitari della comunità.
Formazione, innovazione e internazionalizzazione, nell’epoca della quarta rivoluzione industriale, sono cruciali per garantire e rafforzare il vantaggio competitivo del nostro sistema produttivo, fortemente centrato sulla piccola impresa di famiglia. Da un lato, infatti, la formazione, garantendo un continuo aggiornamento delle conoscenze tecniche e gestionali delle risorse umane, rappresenta la spinta operativa per favorire l’internazionalizzazione e il consolidamento del posizionamento strategico dell’impresa nei mercati vicini e lontani e la nascita di nuove attività imprenditoriali. L’innovazione, dall’altro, basata su un ricco e qualificato capitale umano e su forti dosi di capitale sociale, consente un continuo miglioramento della qualità dei prodotti e dei servizi e rappresenta in tal modo il fattore essenziale del successo del Made in Italy. Infine, con riferimento in particolare alla internazionalizzazione, l’area bresciana, oltre ad essere dinamicamente impegnata nelle sfide della competizione globale, è anche caratterizzata da una forte presenza di immigrati, in gran parte già integrati e con un inserimento lavorativo stabile. Questo prevede che nel contesto bresciano l’internazionalizzazione possa e debba acquisire non solo un ruolo strategico per lo sviluppo imprenditoriale, ma anche una funzione ermeneutica per la trasformazione sociale della realtà locale.
È noto come il tasso di crescita dell’Italia presenti oggi un significativo differenziale negativo con le altre principali economie industrializzate. Sono tanti i motivi per questo ritardo, ma uno di questi è certamente la nostra mancata (o comunque ancora insufficiente) trasformazione digitale e la conseguente perdita di produttività e competitività del nostro sistema pubblico e privato. La rivoluzione digitale sta oggi cambiando alla radice le modalità della concorrenza nei mercati e obbliga le imprese, da un lato, a ripensare il loro modello di business e dall’altro a ridisegnare il loro sistema produttivo. Sotto il primo profilo, serve che ogni impresa identifichi il suo specifico "capitale digitale" - cioè le sue competenze specifiche in termine di idee, dati, algoritmi, ecc. - che consente la differenziazione del modello di business e, sotto il secondo profilo, serve che ogni impresa attivi i sistemi produttivi più efficienti e riesca a creare nuove aree potenziali di creazione di valore. In termini sintetici, sempre più serve pensare digitale in ogni decisione dell’azienda. Tutto ciò richiederà non solo più tecnologia ma anche e soprattutto un cambio di paradigma culturale, da attuare all’interno delle imprese, per riuscire a cogliere le immense opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Ma l’impatto della quarta rivoluzione industriale non è limitato solo al settore produttivo. I cambiamenti epocali indotti dalla rivoluzione digitale, che hanno subito una sostanziale accelerazione a partire dalla prima metà del decennio del nuovo secolo, stanno uscendo fuori dai confini dell’impresa per investire la società intera. L’innovazione tecnologica, (artificial intelligence, internet delle cose, industria 4.0, platform economy, ecc.) sembra riscrivere profondamente non solo i sistemi produttivi ma anche gli stili di vita contemporanei.
Perché Brescia?
In questo contesto di grandi e profondi cambiamenti, è un fatto fuor di dubbio che il sistema produttivo bresciano sia oggi in prima linea, tanto che il manifatturiero digitale ha in Brescia una delle sue frontiere più avanzate. Il territorio bresciano, tra le venti province più industrializzate d’Europa, è oggi in effetti il terreno ideale per seminare innovazione e creare valore. Servirebbe però, a supporto, un sistema nazionale capace di promuovere sistematicamente investimenti strategici nel digitale in modo da favorire la crescita tecnologica delle imprese e, con questa, la loro competitività sui mercati. Una condizione che invece, purtroppo, è oggi ben lungi dall’essere soddisfatta.
Come si è detto, infatti, il nostro sistema Paese fatica oggi a identificare e a cogliere le opportunità dell’economia digitale. Oltre ai ben noti problemi in tema di infrastrutture (si pensi solo alla ancora ridotta diffusione della banda larga: 44% della popolazione nel 2015, contro una media europea del 77%), sono i problemi legati alla educazione e alla formazione che preoccupano maggiormente. Siamo un Paese che fatica a dotarsi delle competenze necessarie a supportare efficacemente l’economia digitale. Manca oggi in Italia una strategia di lungo periodo che coinvolga aziende e sistema formativo, manca una visione d’insieme che coordini i percorsi della trasformazione digitale.
Il problema è di difficile soluzione perché non è facile prevedere le competenze che serviranno tra qui a pochi anni. Le nuove professioni si chiameranno Change Manager, Agile Coach, Technology Innovation Manager, Chief Digital Officer, IT Process & Tools Architect e saranno costituite da un mix più articolato di competenze, per governare strategicamente i cambiamenti imposti dalle aree Big Data, Cloud, Mobile, Social, IoT e Security. Saranno soprattutto figure fatte da un impasto di skill tecnologiche, manageriali e soft skills quali leadership, intelligenza emotiva, pensiero creativo e gestione del cambiamento. Servono allora incentivi volti ad accrescere le collaborazioni fra scuola, università, imprese e associazioni: si tratta di un’area strategica in cui bisogna investire e in cui Brescia può assumere un ruolo decisivo per la presenza di due qualificate Università, per la ricchezza del suo tessuto produttivo e per le qualità imprenditoriali che da sempre la pongono all’avanguardia in Italia. Ci sono tutte le condizioni perché da Brescia parta e si sviluppi un modello virtuoso di collaborazione in campo educativo e formativo che consenta ai nostri giovani di cogliere le opportunità dell’economia digitale.
È a questo progetto di sviluppo del territorio che l’Osservatorio dell’Università Cattolica vuole portare il suo contributo di competenze, conoscenze e passione.