Università Cattolica del Sacro Cuore

Occupazione femminile e crisi pandemica. Il progetto CAREER

 

Nell’agenda dell’Unione Europea, l’uguaglianza di genere e l’annullamento del divario retributivo fra donne e uomini è una priorità che la situazione di emergenza sanitaria degli ultimi due anni ha sicuramente reso più difficoltosa. In una situazione ancora carica di incertezze, la strada verso l’uguaglianza di genere sembra ancor più lontana, come riportato nel Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum. L’Italia inoltre parte da una situazione più svantaggiata rispetto a molti altri Paesi europei: nel 2019, il tasso di partecipazione delle donne all’occupazione era solo del 53,8%, molto al di sotto della media europea (67,3%). 

In questa situazione, l’ISTAT calcola che nel 2020 il 70% dei posti di lavoro persi a causa della pandemia era di donne. Le donne, infatti, sono più frequentemente impiegate in quei settori che hanno maggiormente risentito della pandemia (es. ristorazione, turismo, cura del corpo), e hanno contratti meno stabili. Oltre alla perdita del lavoro, le donne che lo hanno mantenuto hanno subito le conseguenze della sua remotizzazione (il cosiddetto smartworking), la misura di contenimento del virus in assoluto più adottata dai settori che si occupano di beni non essenziali (es., banche, assicurazioni, PA, aziende di servizi).

Sebbene il lavoro da casa sia generalmente considerato un mezzo per meglio conciliare gli obblighi familiari e lavorativi, nel contesto della pandemia esso ha assunto caratteristiche completamente differenti, poiché è stato imposto a tutti i lavoratori in un momento in cui i servizi di cura dell’infanzia, scolastici e di cura dei familiari non autosufficienti (per esempio scuole, nidi, residenze per anziani e non autosufficienti) hanno interrotto le loro attività o le hanno remotizzate.

Per le donne questo ha comportato un incremento spropositato del carico di cura familiare, come dimostrano i dati del 2021 Report on gender equality in the EU. Nel primo semestre del 2020 le donne, infatti, hanno trascorso in media 62 ore a settimana prendersi cura dei bambini (rispetto alle 36 ore degli uomini) e hanno dedicato 23 ore settimanali al lavoro domestico (rispetto alle 15 ore degli uomini). Non è un caso quindi se il 77,2% delle domande di dimissioni volontarie di lavoratori e lavoratrici con figli fino a tre anni è stato richiesto da donne (Rapporto dell’Ispettorato del Lavoro) e la quasi totalità di esse ha addotto come motivazione la difficoltà a conciliare gli impegni lavorativi e familiari.

In questo preoccupante scenario sociale è nato il progetto CAREER (CARE for womEn woRk), finanziato dal Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca, grazie alla collaborazione tra il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, il CRILDA - Centro di Ricerca sul Lavoro “Carlo Dell’Aringa” -  e il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano. CAREER ha l’ambizioso obiettivo di comprendere le sfide che le donne lavoratrici stanno affrontando e fornire a Istituzioni e Aziende delle risposte di intervento utili a sostenere il lavoro femminile.

I risultati del progetto sono stati presentati nel convegno Donne fra lavoro e cura. Cosa possiamo imparare dalla pandemia ed hanno restituito un quadro estremamente complesso sul lavoro femminile nell'ultimo anno e mezzo.

Gli studi condotti, presentati dai ricercatori del gruppo di lavoro, hanno mostrato come, da un lato, il lavoro da casa sia stato un’opportunità di crescita personale e professionale, ad esempio per stare in famiglia e migliorare la qualità delle relazioni familiari. Dall'altra, però, i motivi di difficoltà per le lavoratrici sono stati molti e su diversi piani. A livello culturale, le prescrizioni di genere, basate fondamentalmente sullo stereotipo della donna come prevalente titolare della cura della casa e della famiglia e lo scarso supporto dei partner; a livello logistico-familiare, la mancanza di spazi di lavoro esclusivi e la necessità di seguire i figli nelle questioni scolastiche; a livello sociale, i pochi e mal formulati aiuti provenienti dalle Istituzioni e dalle organizzazioni, sono stati i motivi che hanno reso difficoltosa, se non impossibile, la conciliazione della loro attività professionale con la gestione della famiglia. I risultati degli studi di CAREER hanno mostrato infatti che per le lavoratrici è stato più difficile gestire le interferenze della vita familiare nel loro lavoro e questo ha peggiorato il loro benessere.

I dati degli studi sono stati poi commentati da Francesca Rizzi, CEO di Jointly – il Welfare Condiviso, e dalla dott.ssa Lucia Scopelliti, Direttrice Organizzazione e Sviluppo Professionale del Comune di Milano.

La dott.ssa Rizzi, che da anni si occupa di consulenza alle aziende in materia di welfare, ha parlato della necessità per le aziende di introdurre strumenti di ascolto organizzativo in grado di intercettare i nuovi bisogni in termini di conciliazione e integrazione vita lavoro, e sostenere adeguatamente le donne e tutelare la loro carriera. La dott.ssa Scopelliti ha invece parlato dell’esperienza ibrida di remotizzazione del lavoro che il Comune di Milano ha promosso, a metà fra un co-working e l’ottica dell’ufficio “a 15 minuti”. La sperimentazione sembra essere stata valutata positivamente dai dipendenti, ma non può prescindere dalla necessità di sostenere le famiglie e i lavoratori che hanno carichi di cura familiare con iniziative di effettivo aiuto alla conciliazione.

L’evento è stato altresì un’occasione per lanciare la nuova fase del progetto, che si occuperà sia di studiare più a fondo gli stereotipi di genere associati alle donne e alla suddivisione dei carichi di cura, sia di condurre laboratori esperienziali creativi che coinvolgano tutti gli stakeholder, donne, uomini ma anche aziende e istituzioni, nella creazione di soluzioni che promuovano una maggiore condivisione della cura familiare e costituiscano un reale sostegno alla carriera delle donne.