Università Cattolica del Sacro Cuore

Le famiglie affidatarie in lockdown

 

Sappiamo che la pandemia ha costretto le famiglie a far fronte a fattori stressanti di natura sanitaria, economica e sociale e molti sono gli studi che ci hanno consentito di meglio comprenderne gli effetti. Rarissimi invece gli studi che hanno sondato le condizioni di famiglie con minori fragili come quelli con disabilità o con altri tipi di rischio come quelli in affido.

Per questo motivo, particolarmente interessante è lo studio condotto da R. Iafrate e G. Lopez del Centro Famiglia in collaborazione con il CASF di Verona teso a indagare come i genitori affidatari abbiano affrontato il periodo pandemico e specificatamente il lockdown iniziato a marzo del 2020, quali strategie abbiano attivato per farvi fronte, quali problemi abbiano incontrato e in che modo siano stati sostenuti dai servizi. Sono stati intervistati 13 genitori affidatari (9 donne e 4 uomini) e i principali contenuti di queste interviste sono state discussi in un focus group con 10 operatori in modo da avere anche la loro percezione del vissuto delle famiglie.Interviste e focus group sono stati poi analizzati seguendo un approccio ideografico. Ecco in breve gli spunti emersi.

I genitori affidatari segnalano prevalentemente vissuti positivi del periodo di reclusione forzata: maggiore unità tra i membri della famiglia, solidarietà reciproca, piacere derivato dalla possibilità di trascorrere più tempo assieme, sentimenti che sarebbero condivisi anche dai figli.La situazione di emergenza avrebbe poi favorito una maggior sinergia tra famiglie affidatarie e operatori.Il quadro delineato si presta ad alcune riflessioni emerse nella discussione tra i ricercatori del Centro e gli operatori in un workshop tenutosi il 13 novembre 2021. Come mai queste famiglie ci hanno offerto un quadro che evidenzia aspetti positivi e mette in sordina gli aspetti di “prova” spesso sottolineati dalle altre famiglie? Una possibile ipotesi è che queste famiglie, proprio in virtù della scelta affidataria, siano maggiormente disposte ad affrontare con forza le sfide della vita.

Da questo punto di vista risultano più resilienti. Un elemento che pare più critico riguarda invece il mancato incontro con le famiglie d’origine indicato come difficoltà ma che, nelle interviste, è spesso accennato senza particolare preoccupazione come invece sarebbe logico vista la centralità di questo tema, al cuore del processo di affido. La pandemia in questo caso avrebbe offerto una sorta di “scusante” per evitare o per lo meno mettere in ombra questo compito gravoso che sappiamo essere tanto nevralgico quanto di non facile gestione. Occorrerà perciò monitorare con attenzione gli effetti nel tempo di questo “break”. Questa ricerca-azione è stata perciò una occasione per valorizzare questo prezioso intervento familiare, ma anche per ribadirne la sua anima comunitaria, che richiede per la sua delicatezza un maggiore sostegno e accompagnamento da parte dei servizi che ne hanno responsabilità.