Università Cattolica del Sacro Cuore

Il lavoro da casa durante l'emergenza. L'impatto sulle famiglie

 

Lo smartworking imposto dalla pandemia ha coinvolto in questi mesi milioni di lavoratori in Europa (secondo Eurofond il 36,8 per cento, un tasso più che doppio rispetto a quello precedente al Covid-19), e anche in Italia, costringendo i cittadini e le aziende a modificare i propri stili di vita e di lavoro con un impatto importante sulla vita delle famiglie. Sugli effetti, spesso imprevedibili, considerato il fatto che questa misura è stata vissuta in conseguenza di un’emergenza invece che in condizioni “normali”, ha fatto luce il lavoro COVID-19 e conciliazione familiare e lavorativa: quali sfide e risorse per le famiglie italiane? realizzato dai ricercatori del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per indagare come la situazione abbia impattato sul singolo e sulle coppie e le famiglie per la gestione dei carichi di cura familiare e la gestione dello stress.

La ricerca, che ha coinvolto 1.400 intervistati di cui il 73% donne, mediamente di età superiore ai 45 anni (56%), coniugato (64%) o convivente (10%) e residente nel Nord-Ovest (63,4%), con un livello socio-educativo medio-alto (laurea o post laurea nel 65% dei casi) ha messo in luce ancora una volta le caratteristiche del welfare italiano che è da sempre centrato sulla famiglia come ammortizzatore sociale e caregiver primario, in particolare grazie alle figure femminili. Durante l’emergenza, infatti, le famiglie non hanno potuto contare sul sostegno delle reti “classiche” come nidi e asili, chiusi, i nonni, più a rischio per il contagio, e le babysitter o le badanti, un aiuto permesso dal punto di vista legale, ma assai poco sfruttato (solo per il 5 %).  

I genitori che si sono occupati da soli dei figli hanno raccontato di aver avuto difficoltà a concentrarsi sul lavoro a causa di pensieri riguardanti la cura. In particolare quelli con figli di età inferiore ai 6 anni sono risultati maggiormente in difficoltà e più stressati, mentre le famiglie con figli in età scolare, pur con difficoltà, hanno compensato questa fatica con risorse specifiche. Anche i lavoratori autonomi hanno dimostrano una maggiore soddisfazione per essere riusciti a conciliare lavoro e famiglia rispetto ai dipendenti, costretti a uno stile di vita nuovo, mutato improvvisamente a causa delle necessità contingenti della pandemia.

Uno degli elementi che ha favorito la gestione dello stress e delle fatiche è la collaborazione all’interno della coppia, che ha permesso una nuova divisione dei compiti di cura, una collaborazione che tuttavia è emersa soprattutto tra le coppie giovani e meno in quelle in cui le donne over50 si sono trovate spesso ad affrontare anche la cura dei genitori anziani o di familiari disabili o non autosufficienti.

Dallo studio (coordinato da Claudia Manzi, professore ordinario di Psicologia sociale e Sara Mazzucchelli, professore associato di Sociologia, autrici di Famiglia e lavoro. Intrecci possibili, Vita & Pensiero, Milano 2020) risulta anche un rapporto tra la soddisfazione di chi ha lavorato da casa col numero di iniziative di welfare aziendale (come il disbrigo di pratiche personali o il sostegno al reddito) utilizzate già prima dell’emergenza, che permettevano già in precedenza un migliore equilibrio tra vita privata e professionale.

Infine, la ricerca ha sondato quale sia stata la priorità tra lavoro e famiglia, una scelta che ha rilevato una profonda differenza sociale: attribuisce più importanza al lavoro chi non ha figli o chi non si occupa personalmente della loro gestione, chi ha un titolo di studio più elevato e un reddito maggiore, mentre dà più importanza alla famiglia chi ha figli e si occupa personalmente di loro, chi ha titolo di studio più basso e reddito basso, chi ha più familiari conviventi.

 

Renata Maderna