Università Cattolica del Sacro Cuore

Il fattore religioso nelle migrazioni

 

È uscito il volume Migrants and Religion: Paths, Issues, and Lenses. A Multidisciplinary and Multi-Sited Study on the Role of Religious Belongings in Migratory and Integration Processes, a cura di Laura Zanfrini (Brill 2020) che raccoglie i numerosi contributi relativi ad una ricerca di Ateneo sul tema dei cristiani migranti perseguitati a causa della religione, fenomeno drammatico e particolarmente presente in alcuni paesi di origine degli stranieri che arrivano in Italia.

Un gruppo di ricercatori del Centro (C. Regalia, D. Bramanti, C. Giuliani) ha centrato l’attenzione sul tema della religione nelle storie migratorie delle famiglie, con particolare attenzione su come avviene la trasmissione dei valori religiosi tra le generazioni e su quanto questa trasmissione sia efficace nel promuovere appartenenza e capacità di integrazione nelle società di arrivo dei migranti.

La riflessione sul nesso religione/famiglie migranti si evidenzia ardua nelle nostre società, altamente secolarizzate, in cui il tema religioso appare sempre più sullo sfondo, spesso percepito come scarsamente attivo nell’orientare le scelte e le strategie per affrontare le sfide e i rischi della migrazione dei soggetti e delle famiglie. Tuttavia, in questa ricerca ci si è interrogati sostanzialmente su due questioni precise: a) Come nelle famiglie in generale, e nelle famiglie migranti in particolare, avvenga la socio-educazione religiosa; b) Se, e a che condizioni, la religione costituisce un fattore identitario, in grado di facilitare o ostacolare i processi di integrazione nella società ospitante e un elemento di resilienza, per meglio gestire le situazioni di stress post migratorio.     

Il lavoro si è organizzato a due differenti livelli: il primo livello è relativo a una analisi di quanto emerge dagli studi già condotti su questi aspetti anche a livello internazionale, soprattutto in quei paesi come gli Stati Uniti e la Francia che hanno una storia lunga di migrazioni; il secondo, volto a dare voce ai migranti, si è focalizzato su famiglie egiziane copte presenti a Milano. In estrema sintesi è possibile osservare che i valori religiosi sono al centro delle storie familiari. Le famiglie che arrivano in Occidente si aspettano di trovare un luogo di libertà, in cui poter esprimere le proprie aspirazioni e vedere riconosciuti i propri valori di riferimento, in cui tradizione e religione spesso si mescolano come un tutto indistinto. Questo non sempre succede, al contrario la dimensione religiosa è spesso considerata irrilevante, in ogni caso relegata al privato, con una sorta di rimozione collettiva. 

Le persecuzioni religiose, patite nei luoghi di origine e, causa dell’emigrazione forzata, sono ovviamente un fattore di grave sofferenza per i migranti e gettano una triste luce sul proprio luogo di origine, la cui appartenenza è fattore di forte identità per i migranti. Pertanto, come emergerà bene dalle interviste ai membri della comunità copta, coloro che hanno patito discriminazioni o violenze nel proprio Paese di origine faticano a parlarne.

La libertà religiosa che si sperimenta nei Paesi di accoglienza è quindi un fattore cruciale nel sostenere i percorsi di integrazione e di ri-socializzazione degli adulti e dei più giovani, a condizione che non significhi una totale irrilevanza del fatto religioso. Da una parte la rimozione delle sofferenze patite a causa della religione può rendere, per i migranti, incomprensibile il ruolo che in occidente ha il credo religioso, dall’altra può indurre gli stessi a una sorta di silenzio forzato per adeguarsi alle aspettative sociali.