Università Cattolica del Sacro Cuore

E se chi cura sta male?

 

Del rapporto medico-paziente si è detto molto, soprattutto nel tempo della pandemia a noi molto vicino, ma questo rapporto non si gioca in una partita tra due persone, ma deve necessariamente interrogarsi sulla qualità delle relazioni che il paziente, e anche il medico, hanno con il caregiver.

Un’équipe di ricerca composta da A. Bertoni, S. Donato, G. Rapelli e M. Mulè ha studiato il legame tra malattia, relazioni familiari ed équipe di cura in ambito cardiologico e nefrologico. I risultati della ricerca in campo cardiologico mostrano come sia prevalentemente il partner a svolgere la funzione di caregiver, ovvero chi si fa carico di supportare il paziente nel suo processo di cura; in tale processo la relazione di coppia può essere un elemento cardine sia nel promuovere che nell'ostacolare l'adattamento del paziente e la riuscita del processo di cura. L’avere una relazione di coppia stabile e soddisfacente esercita infatti un effetto positivo sulla probabilità di sopravvivenza dei pazienti con malattia cardiaca e diversi processi relazionali, come la vicinanza, il supporto emotivo, la comunicazione, la reciprocità, la responsività tra i partner, si sono rivelati importanti per il miglioramento degli esiti della malattia. Il partner può addirittura facilitare la relazione medico-paziente, addirittura come fosse “l’ago della bilancia”: se la relazione tra medico e partner è positiva e supportiva, migliora significativamente anche il legame tra la relazione di fiducia con il medico e l’aderenza farmacologica. Se la relazione con il partner non è positiva, il legame tra la relazione di fiducia con il medico e l’aderenza farmacologica viene indebolito. L’aderenza farmacologica non è dunque l’esito solo di un buon rapporto tra medico e paziente, ma il risultato di quello che potremmo chiamare un “buon gioco di squadra”: il partner può davvero influenzare profondamente e facilitare il processo di cura.

Alla luce di questi dati va tuttavia osservato che i caregiver non nascono come tali. Nella storia di una coppia in cui un partner si ammala, i caregiver sono innanzitutto persone che hanno amato e amano una persona che poi si ammala. L’azione di caregiving da parte di un partner può essere dunque letta come risposta a un bisogno di cura, protezione e vicinanza espresso dal partner che è afflitto da una malattia, in modo acuto, improvviso o cronico. Importante sarà dunque superare una visione rigida dei ruoli di “caregiver” e “paziente” che assegna ai primi l’esclusiva funzione di supporto ed ai secondi l’altrettanto esclusiva posizione di bisogno e di maggiore dipendenza; occorrerà invece interrogarsi sempre di più anche sulle risorse che il paziente può mettere in campo e sui bisogni che il caregiver può, a sua volta, esprimere.

Alcune ricerche condotte hanno infatti rivelato che i partner stanno male tanto o più dei pazienti stessi: i partner presentano livelli clinici significativi di ansia e di depressione comparabili a quelli rilevati nei pazienti. È dunque essenziale considerare non solo i bisogni dei pazienti, ma anche quelli del partner che, se disattesi, possono portare i caregiver anche trascurare o curare “troppo” con forme di iperprotezione, vissute in modo frustrante dai pazienti cardiologici.

Nel gioco di squadra che si svolge sulla scena dei percorsi di cura, è anche fondamentale “prendersi cura di chi cura”: ricerche condotte in ambito nefrologico mostrano che i medici sono spesso in difficoltà non tanto per l’aspetto più “tecnico e tecnologico” legato alla cura, quanto alla gestione delle relazioni complesse sia interne al gruppo di lavoro sia nella relazione di cura con il paziente e i suoi familiari. Le relazioni dunque si rivelano risorsa ma anche sfida nell’ambito della malattia cronica.   

In sintesi la ricerca di mostra come il processo di cura sia un dialogo tra due mondi relazionali, socialmente e culturalmente situati, in cui ciascun soggetto come persona, al di là del ruolo che ricopre (operatore sanitario, paziente o familiare/caregiver), è portatore al contempo di risorse e di bisogni. Né gli uni né gli altri vanno trascurati nel concorrere a promuovere un virtuoso processo di cura.