Università Cattolica del Sacro Cuore

Omogenitorialità e filiazione


Con sempre maggiore frequenza vengono richiamate ricerche psicosociali che metterebbero in luce come i figli delle coppie delle stesso sesso non presentino maggiori rischi rispetto ai figli delle coppie di sesso opposto, un dato che viene spesso citato a sostegno del diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali. Ma come sono state realizzate queste ricerche? Su quali campioni? E soprattutto: qual è la loro affidabilità scientifica? A questi e ad altri interrogativi su una questione troppo spesso trattata su base emotiva e ideologica ha risposto Paul Sullins nel corso di una Lectio intitolata Esiti evolutivi per figli di genitori omosessuali: che cosa sappiamo e che cosa non sappiamo, tenutasi il 28 settembre in Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano) nel corso del seminario internazionale Omogenitorialità e filiazione organizzato dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia.

Paul Sullins, professore di sociologia presso la Catholic University of America di Washington e autore di importanti studi scientifici pubblicati negli ultimi anni sul tema dell’adattamento dei figli di coppie omosessuali, ha espresso molti dubbi sulle ricerche che negli Stati Uniti vengono portate a riprova dell’assenza di problemi nello sviluppo dei figli di coppie dello stesso sesso, a partire dall’obiettivo con cui vengono realizzate, in molti casi con fini politici più che di contributo alla discussione scientifica.

«Non a caso», ha detto Sullins, «la prestigiosa Columbia University di New York ha pubblicato una influente rassegna, che ha preso in considerazione 79 studi sul tema, non, come ci si aspetterebbe, nelle sezioni dedicate agli studi sulla famiglia, ma sul sito della Facoltà di legge, accattivante e accessibile a giornalisti e opinione pubblica, con l’obiettivo dichiarato di influenzare l’interpretazione legale. E non meraviglia che uno dei principali programmi di ricerca sul tema negli Stati Uniti sia stato realizzato dalla Law School dell’Università di California».

Tra questi 79 studi, 75 concludono che non sono stati riscontrati particolari problemi tra i bambini di coppie omosessuali e solamente 4 hanno rilevato alcuni svantaggi nella loro crescita. Secondo Sullins non è possibile sostenere la conclusione della rassegna che «esiste uno schiacciante consenso scientifico sul fatto che avere per genitore omosessuale non danneggia i bambini», perché in realtà le ricerche metodologicamente più solide mostrano, al contrario, la presenza di problematiche emotive ed evolutive a carico di questi bambini.

«Creare una falsa coscienza culturale può essere un indubbio successo retorico, ma è un fallimento dal punto di vista scientifico», ha detto Sullins. Il docente, che è anche direttore del Leo Initiative for Catholic Social Research e membro del Family Research al Marriage and Religion Research Institute, ha osservato che su 75 studi 70 si basano su campioni non rappresentativi, dichiarando che nella maggioranza dei casi i soggetti vengono reclutati attraverso reti di conoscenza personali o attraverso la comunità gay o altre agenzie. L’ampiezza campionaria media è di 39 soggetti: «Praticamente tutti gli studi che vengono presentati come “ricerche” e che si propongono di mostrare la presenza di un vasto consenso nella comunità scientifica, si basano su campioni composti da conoscenti, amici o amici di amici dei ricercatori medesimi o genitori reclutati attraverso eventi LGBT, annunci su giornali o in librerie, passaparola, reti informali o gruppi di giovani, cui erano stati esplicitati gli obiettivi della ricerca e che erano stati invitati a mostrare quanto ben adattati fossero i loro figli».

In altri casi inoltre, un successivo controllo ha dimostrato che una parte del campione di coppie omosessuali era in realtà formato da coppie eterosessuali, a causa di errori nel campionamento.

Invece alcune ricerche, tra le quali alcune condotte dallo stesso autore, metodologicamente più solide hanno mostrato la presenza di problematiche emotive ed evolutive a carico dei figli di coppie omosessuali, come quella che ha considerato i dati del National Health Interview Survey (1997-2013), che tiene conto di un campione di oltre 200mila bambini. Il 17,4 per cento dei figli di queste coppie fa esperienza di problematiche emotive (rispetto al 7,4 per cento dei figli di coppie eterosessuali); il 19,3 vive problematiche nello sviluppo (ADHD, disturbi dell’apprendimento, deficit cognitivi) rispetto al 10,2 per cento; il 17,8 per cento ha ricevuto trattamenti medici per problemi emotivi (rispetto al 10,4 per cento) e al 21 per cento sono stati prescritti farmaci per problemi emotivi (rispetto al 6,9 per cento).

Ma secondo Sullins oltre alle critiche che si possono rivolgere alle ricerche che partono dal presupposto che non ci sia un rischio o un danno per il benessere dei bambini, è importante mettersi in una prospettiva diversa: identificare quali possono essere gli elementi che predicono l’adattamento e i fattori di stress che invece possono metterli a rischio.

«Chi nega qualsiasi differenza su basi ideologiche», ha spiegato Sullins, «non può compiere questa operazione. Non può apprendere nulla sull’effetto dell’omosessualità dei genitori sul benessere dei figli perché ha già escluso a priori la presenza di tale effetto. In questo senso ciò che non sappiamo ha molta più importanza di ciò che sappiamo. Solo chi riconosce la presenza o la possibilità di un danno per i figli può chiedersi: quale potrebbe essere la causa di tale danno? ».

Rifiutando la falsa credenza che appiattisce le differenze di genere, è possibile iniziare ad esplorare come tali differenze possano influenzare il benessere dei figli cresciuti all’interno di famiglie omogenitoriali. Secondo Sullins tre sono le possibili cause di queste problematiche: 1) le diverse configurazioni familiari o l’essere o meno in una relazione di coppia; 2) l’orientamento omosessuale come distinto dalla relazione di coppia; 3) le differenze di genere tra i vari membri che compongono una famiglia omogenitoriale.

Innanzitutto può essere che la maggior probabilità di sviluppare problematiche da parte dei figli di coppie omosessuali sia legata alla difficoltà e agli stress connessi al vivere di una coppia omosessuale rispetto al far parte di una coppia eterosessuale. Molte relazioni omosessuali in cui siano presenti dei figli, infatti, fanno seguito a pregresse unioni eterosessuali interrotte, il che impone ai figli di attraversare una duplice transizione critica (la rottura della relazione tra genitori e il cambiamento dell’orientamento sessuale). Inoltre le relazioni omosessuali tendono ad essere più instabili e, anche quando consentito, poche contraggono il matrimonio.  

Per quanto riguarda l’identità sessuale dei genitori, l’autore ipotizza che le maggiori problematiche dei figli siano dovute, almeno in parte, ad alcuni fattori legati alla tendenza omosessuale di uno o entrambi i genitori. «Ad esempio, esistono prove consistenti a supporto dell’ipotesi secondo cui l’attrazione per un partner del medesimo genere sia correlata a un aumento nei livelli di stress cognitivo o emotivo e figli di genitori stressati hanno una maggiore probabilità di soffrire a propria volta per via dello stress, sia a causa di una compromissione nel funzionamento e nelle cure genitoriali, sia per via di una diretta influenza genetica».

Il terzo fattore che potrebbe contribuire a spiegare le problematiche vissute dai bambini di coppie omosessuali riguarda la differenza di genere di genitori e figli che da svariate ricerche risulta avere effetti significativi sulla vita dei figli. «A dispetto dei recenti tentativi di negarne o sminuirne l’importanza», ha commentato Sullins, «le differenze di genere sono profonde e significative e si esprimono in modalità più o meno evidenti nel corso della vita, sia nelle esperienze individuali che nello studio delle popolazioni. Sarebbe dunque sorprendente se il genere non influenzasse anche i figli cresciuti in coppie omosessuali».

Solo se non si negano le differenze tra il funzionamento delle coppie omosessuali ed eterosessuali si possono comprendere maggiormente i relativi effetti sul benessere dei figli.