Università Cattolica del Sacro Cuore

Migrazione: le seconde generazioni alla prova dell’integrazione


 

In Italia stanno aumentando i numeri delle famiglie di migranti in cui convivono almeno due generazioni, una situazione che mette in luce la questione cruciale del processo di trasmissione e di negoziazione dei valori e degli stili di vita tra prime e seconde generazioni e il loro impatto sui processi di integrazione. Le seconde generazioni, infatti, pur sperimentando negoziazioni culturali interne ed esterne alla famiglia assai complesse, sono indubbiamente le protagoniste del cambiamento verso la costruzione di nuove forme di integrazione e legame con la comunità ospitante.

Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia ha affrontato il tema prendendo in esame in particolare la presenza di migranti di religione musulmana, al centro del dibattito nel contesto italiano a causa dei molti interrogativi legati suscitati dalla convinzione che si tratti di persone meno integrabili e più lontane dalla cultura del Paese.

Le generazioni successive ai primi migranti, su cui finora i contributi di studio erano limitati, negli ultimi anni hanno cominciato ad essere oggetto di alcune ricerche, sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo. In un primo studio, Dinamiche familiari ed identitarie: le prime e le seconde generazioni immigrate musulmane, condotto insieme alla Fondazione ISMU, è stata indagata l’esperienza della migrazione vissuta da donne di prima e seconda generazione, provenienti da Egitto, Marocco e Pakistan. I risultati (raccolti nel volume Esperienze di donne nella migrazione araba e pakistana, a cura di C. Regalia e C. Giuliani, Franco Angeli, Milano 2012) evidenziano forti elementi di continuità a livello intergenerazionale centrata su valori tradizionali, ma anche il desiderio da parte delle generazioni più giovani di provare a costruire nuove forme di integrazione e legame con la comunità ospitante

Un successivo progetto di ricerca, Le realtà migratorie musulmane a Milano: sfide, risorse, relazioni, promosso da Fondazione Oasis e condotto, sempre in collaborazione con la Fondazione ISMU, dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, ha allargato lo spettro di indagine e ha indagato le realtà musulmane immigrate nella Diocesi di Milano e i processi di possibile meticciato in atto, andando a interpellare un campione di 211 musulmani di prima e seconda generazione e dodici realtà organizzate (islamiche, cattoliche e aconfessionali) sulle forme e sulle condizioni che rendono percorribile l’incontro interculturale e interreligioso. Il volume La sfida del meticciato nella migrazione musulmana curato da C. Regalia, C. Giuliani, S. Meda, Franco Angeli, Milano 2016, offre alcuni spunti di riflessione.

1) Emerge, in particolare, una dialettica complessa tra forza del legame con la cultura di origine e desiderio di differenziazione. Integrare in modo costruttivo universi culturali differenti non è compito semplice e scontato. Ciò vale per le prime generazioni, ma soprattutto per le seconde che, nate e cresciute in Italia, sono doppiamente sfidate nel loro percorso di crescita da aspettative spesso contraddittorie: in quanto figli di immigrati, vivono delle aspettative e dei mandati della famiglia di origine e, contemporaneamente, in quanto seconde generazioni, sono sollecitate dalle aspettative che la società di accoglienza ha su di loro.

2) La dialettica tra i due universi culturali (quello riferito all’origine e quello del paese di immigrazione) è sperimentata in modi diversi da maschi e femmine delle seconde generazioni, come anche la ricerca europea suggerisce. Per le femmine rimane irrinunciabile e non “negoziabile” il legame con la cultura di origine e con la religione, in maggiore continuità con gli orientamenti delle prime generazioni. La paura di perdere le proprie origini è ben evocata dal valore simbolico del velo: per quanto non imposto da nessuna norma giuridico-religiosa chiaramente definita, spesso assurge a simbolo di un’identità culturale (e non tanto o non solo religiosa) che differenzia e specifica la provenienza e le origini delle donne.

Per i maschi è emersa una maggiore discontinuità rispetto alle prime generazioni: essi risultano, infatti, più orientati all’assimilazione alla cultura italiana, meno identificati con l’Islam e meno osservanti. I ragazzi hanno spazi maggiori di libertà, anche perché il processo di trasmissione segue la linea femminile: sono le donne che curano il patrimonio e si fanno garanti della sua trasmissione.

3) Il biculturalismo, laddove adottato, risulta chiaramente una strategia più femminile che maschile. Anche se le giovani sentono forte il peso della differenza culturale, emerge proprio da loro una più consapevole domanda di integrazione e l’assunzione di un ruolo interlocutorio sia con la famiglia sia con la società italiana. Un dato che conferma tra l’altro un risultato ampiamente evidenziato dalle ricerche, ossia la competenza tipicamente femminile di saper instaurare legami, gettare ponti tra posizioni e mondi apparentemente inconciliabili.

La ricerca condotta conferma che all’interno del mondo musulmano il dibattito sul ruolo delle donne è presente e sembra essere più vivo di quanto ci si potrebbe aspettare. Emergono infatti posizioni variegate, alcune più “tradizionaliste” e patriarcali, altre più “moderne” (soprattutto nei giovani, dove la questione non sembra porsi). Questo tema appare problematico anche per quelle donne maggiormente orientate al dialogo, che sono prese tra lo sguardo dell’Altro (gli italiani) e lo sguardo della propria comunità (i musulmani). Quello che sembra evidente è che sono alla non facile ricerca di una nuova collocazione nello spazio pubblico e di una ridefinizione di sé che tenga conto del desiderio di aprirsi al nuovo contesto, ma allo stesso tempo non vogliono deludere e venire meno ai tradizionali mandati e alle attese che la comunità musulmana nutre nei loro confronti.

4) Le caratteristiche del nuovo contesto socio-culturale in cui le famiglie immigrate vivono esercitano un impatto notevole  sui processi identitari post-migratori. Nell’attuale contesto storico, segnato da paure nei confronti delle comunità musulmane e da una crescente islamofobia, particolare attenzione è rivolta ai fattori connessi alle dinamiche intergruppali (conflitti tra comunità autoctona e comunità musulmane, pregiudizi e stereotipi negativi). Come messo in luce anche da altri studi europei, la discriminazione percepita dai musulmani rappresenta un ostacolo ai processi di integrazione e di adattamento, in particolare delle generazioni più giovani. La percezione di essere discriminati e ingiustamente trattati risulta connessa, infatti, a strategie improntate alla difesa della propria identità etnica e religiosa, alla difficoltà di aprirsi al nuovo contesto culturale, nonché a segnali di malessere psicologico. Questo tipo di processi identitari e adattivi improntati alla chiusura e alla separazione nel proprio universo culturale risultano più evidenti nelle generazioni più giovani rispetto alle prime: sono infatti i figli degli immigrati, nati e/o cresciuti in Italia, a sentire maggiormente il peso dello scarto tra le loro aspettative di integrazione/riuscita e una realtà esterna tutt’altro che facile. 

Attualmente il Centro è impegnato in una ricerca qualitativa inserita in un più ampio progetto Migrazioni e appartenenza religiosa: dalla periferia al centro, per lo sviluppo di un nuovo Umanesimo, finanziata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano come ricerca di interesse d’Ateneo, volta ad analizzare il processo di trasmissione dei valori culturali e religiosi in un campione di egiziani coopti. L’obiettivo è sempre quello di comprendere gli aspetti di continuità e di rielaborazione di tali valori all’interno del fenomeno migratorio, nonché di esplorare il ruolo cruciale dell’appartenenza religiosa nel processo d'integrazione dei migranti di prima e seconda generazione. Tale processo avviene attraverso la mediazione della famiglia e delle organizzazioni religiose impegnate sul territorio.